La Stampa - domenica 2 febbraio 2014
Roberta Martini - Scoperto il ghost writer di Salgari
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Scoperto il ghost writer di Salgari
Vercellese, scrisse due romanzi usciti negli Anni 30 con il nome del papà di Sandokandi Roberta Martini
«Ne avremo ancora per due ore». «Tutt’altro, amico mio.
L’alta marea non si farà troppo aspettare». I prigionieri delle Pampas,
romanzo di Emilio Salgari pubblicato postumo, nel 1931, dall’editore
fiorentino Bemporad, si apre con un dialogo. È lo stile del padre
dell’avventura italiana, che proietta subito il lettore nell’azione.
Mari, battaglie, animali e viaggi fantastici, tutto a buon mercato con
le pagine di un libro.
Peccato che di
queste Pampas Salgari non abbia scritto mai. O meglio abbia lasciato
soltanto la traccia di una trama, come è accaduto in altri romanzi
pubblicati postumi. A prestargli penna e fantasia, nelle duecento pagine
del libro, è stato un giornalista di origine vercellese, Mario
Casalino, che avrebbe messo mano anche a un altro romanzo postumo
salgariano, I cannibali dell’Oceano Pacifico, pubblicato nel 1930. A
scoprire il ghost writer del padre del Corsaro Nero, penna duttile,
traduttore di saggi e di poesia, è stato il giovane studioso veneto
Maurizio Sartor.
L’editore Bemporad,
tra il 1920 e il 1934, pubblicò dodici volumi che sì indicavano in
copertina il nome di Emilio Salgari, ma sul frontespizio aggiungevano
che il libro era «tratto da trama lasciata dall’Autore e pubblicato
sotto la direzione di Nadir Salgari», il maggiore dei figli di Emilio.
D’altra parte, il successo dei romanzi di Salgari era tale che l’editore
fiorentino, già prima che terminasse il 1911, anno del suicidio dello
scrittore, aveva pubblicato due romanzi del ciclo di Sandokan (Il
bramino dell’Assam e La caduta di un impero) in realtà ricavati da un
manoscritto solo. Le trame lasciate da Salgari erano di poche cartelle,
stava poi ai ghost writer adattarsi al suo stile e rinunciare a comparire
pur ricevere il compenso del contratto. Casalino, però, dice Sartor,
citava nei suoi romanzi nomi di pianeti, cosa che Emilio Salgari non
aveva fatto mai. Il ghost writer più prolifico fu comunque il torinese
Giovanni Bertinetti, tanto abile da trarre in inganno, prima che la
questione dei «falsi» diventasse pubblica, anche uno storico come
Giovanni Spadolini.
Del vercellese
Mario Casalino si è occupato un altro esperto salgariano, Felice Pozzo,
ricostruendone almeno in parte la figura. Casalino, che ha annoverato
tra le sue collaborazioni La Fiera Letteraria, L'Illustrazione Italiana e
anche La Stampa, fu un abile traduttore. A lui si deve, ad esempio, la
prima versione italiana di Emma di Jane Austen, pubblicata nel 1945, ben
130 anni dopo il romanzo originale. Nella sua città invece, racconta
Pozzo, il giornalista lavorò alla Vercelli nobilissima di quell’Eugenio
Treves che collaborò con Palazzi al Nuovissimo Dizionario della lingua
italiana.
I «falsi» salgariani
continuarono anche negli Anni 40, ma mentre Bemporad pretendeva che gli
autori si adeguassero allo stile, altri editori non ne curarono affatto,
rispettando poco o nulla di Salgari e delle generazioni di ragazzini
che sono cresciuti con il Corsaro Nero.
Roberta Martini
La Stampa - domenica 2 febbraio 2014
Emilio Salgari: scoperte, ritrovamenti, indagini, ricerche